Sfruttamento del lavoro minorile

Sfruttamento del lavoro minorile

Secondo uno studio dell’Università di Tulane, i bambini e gli adolescenti che lavorano nei campi di cacao in Costa d’Avorio sono 1,3 milioni. In Ghana la situazione è simile, sebbene il governo si sia impegnato a lottare contro lo sfruttamento minorile. I bambini che lavorano nelle piantagioni sono apprezzati per le loro caratteristiche fisiche (per questo sono chiamati anche “nibble fingers”, dita sottili), la statura e l’abilità manuale, che li rendono più efficienti per determinate tipologie di lavoro, come quella nei campi. Inoltre i bambini sono più disciplinati e poco inclini a ribellarsi.

Nelle zone rurali della Costa d’Avorio ben quattro bambini su cinque lavorano nei campi, non frequentano la scuola e svolgono attività spesso pericolose e nocive per la loro salute, come usare attrezzi taglienti, applicare pesticidi, trasportare i sacchi di cabosse.

Da dove vengono questi “piccoli schiavi”?

Si tratta di bambine e bambini che hanno dagli otto ai sedici anni e vengono reclutati, con promesse di ingenti guadagni, nei Paesi confinanti con la Costa d’Avorio, come il Mali e il Burkina Faso, dove la possibilità di guadagnare qualcosa sono minime, se non inesistenti. Secondo Salia Kante, vicedirettrice dell’ONG Save the Children, in ogni piantagione di cacao lavorano da 50 a 100 bambini, che sarebbero comprati per una cifra intorno ai 50 euro ciascuno. Lavorano nei campi dalle sei di mattina alle nove di sera, mangiano un pugno di mais e una banana e vivono in condizioni sanitarie disperate, ammassati in stanze senza letti, senza bagno, chiusi a chiave durante la notte. Le ragazzine, arrivate ad una certa età, vengono poi rivendute e finiscono a fare i lavori domestici in casa, o vengono sfruttate per il mercato del sesso.

Per molto tempo le industrie produttrici di cioccolato hanno negato il problema. Solo a seguito delle insistenti pressioni della stampa e delle organizzazioni umanitarie, nel 2001 hanno siglato un accordo (detto Protocollo Harkin-Engel), che avrebbe dovuto eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile in Africa occidentale entro il 2005.

Oggi nel 2017, le multinazionali continuano a fare finta di ignorare la causa principale di tali fenomeni, cioè i prezzi bassi pagati ai produttori. Per combattere la piaga del lavoro minorile, i produttori non hanno solo bisogno di essere sensibilizzati sulle conseguenze nefaste del fenomeno ma necessitano di fondi che permettano loro di impiegare personale adulto. E, pagando un prezzo più alto – o forse semplicemente più “equo” – ai produttori, si eliminerebbe quasi automaticamente parte dello sfruttamento del lavoro minorile.

Lo studio dell’Università di Tulane afferma che le imprese firmatarie del protocollo non hanno raggiunto a pieno nessuno degli obiettivi da loro stesse fissati. I bambini schiavi e lavoratori sarebbero addirittura aumentati tra Ghana e Costa d’Avorio (nello stesso tempo i prodotti a base di cacao hanno generato una cifra d’affari stimata a 1000 miliardi di dollari…)

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